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Intelligenza emotiva, perché è importante integrarla nei principi aziendali

Il padre dell’”Emotional Intelligence” Daniel Goleman torna a parlare di management aziendale a seguito del contesto mondiale trasformato dalla pandemia.

Goleman definisce la EQ come “la capacità di riconoscere le proprie emozioni, quelle degli altri, gestire le proprie, e interagire in modo costruttivo con gli altri”.

Di recente Goleman ha partecipato ad un evento in cui si è parlato di come il ruolo dell’Intelligenza Emotiva nel contesto attuale, trasformato dalla pandemia.

 “L’intelligenza emotiva è importante oggi più che mai – dice Goleman – Stiamo affrontando una nuova realtà, in cui le relazioni giocano un ruolo da protagonista, trasformando il modo in cui interagiamo. Gli studi rivelano che maggiore è la nostra intelligenza emotiva, migliore sarà la nostra risposta di fronte a situazioni di stress. Inoltre l’IE migliora il nostro umore e ci permette di ottenere una maggiore soddisfazione sia a livello personale che professionale”.

Daniel Goleman, psicologo scrittore e giornalista statunitense, è anche uno degli autori più famosi di management strategico: il suo concetto di intelligenza emotiva (Emotional Intelligence) ha influito molto sulle teorie della leadership aziendale.

La sua fama è legata ad un concetto di cui oggi si parla molto ovvero l’importanza delle soft skill nel lavoro.

Goleman per primo ha sistematizzato e tradotto in best practice un concetto semplice, e cioè che per essere un leader di successo non bastano competenze tecniche eccellenti, e neanche un altissimo quoziente d’intelligenza (IQ). E’ necessario un giusto equilibrio tra  componente irrazionale ed emotiva, detta appunto Emotional Intelligence.

L’Emotional Intelligence rappresenta il giusto connubio tra conoscere e controllare se stessi, e di capire e coinvolgere gli altri, che è innato ma in parte si può migliorare e ottimizzare.

L’intelligenza emotiva si può imparare?

Secondo Goleman se un leader ha delle carenze nella gestione delle proprie emozioni o non è empatico, può sicuramente migliorare.

Di certo questo prevede un certo impegno e una predisposizione, perché in effetti il percorso è molto introspettivo e prevede che il leader faccia tesoro dei consigli e dei suggerimenti su come viene percepito dall’esterno e  su quali sono i suoi reali punti di forza e di debolezza.

Altro punto interessante dell’intervento di Goleman e la leadership è il concetto di FLOW. Infatti secondo lo studioso statunitense 

«L’arte della leadership consiste nel portare e mantenere le persone nella fascia più alta dei livelli di performance, e questo succede quando le persone sono nel miglior stato di benessere personale. È uno stato ottimale che si chiama Flow, in cui la persona stessa rimane stupita dei risultati che ottiene”.

Ma come creare una situazione del genere?

Un aiuto per creare uno scenario adatto al Flow, continua Goleman, è il “social brain”. È una scoperta di una decina d’anni fa, quando si è cominciato lo studio dell’interazione tra i cervelli, oltre che del singolo cervello.

C’è una zona del cervello che cerca di capire cosa succede nel cervello dell’altra persona e stabilisce con esso una comunicazione che va al di là della comunicazione verbale.

Insomma, il leader deve usare il “social brain” per far rendere al massimo le persone. «È così che otterrete il miglior ritorno d’investimento dai salari che la vostra azienda paga al vostro team. Gestire lo “stato emozionale” delle persone è estremamente importante, dal top management al front end, cioè i punti di contatto tra azienda e mercato. Chiunque nell’azienda sia l’interfaccia con i clienti, infatti, ha il potere di “far stare bene” il cliente. E se il cliente “sta bene” non è ben disposto solo verso la persona che fa da interfaccia: è ben disposto verso la vostra azienda».